TECNOLOGIE UMANISTE
Recensioni
"Il gioco della filosofia [...] che permette di immagazzinare concetti filosofici spiegati tramite un videogioco."
Corriere della Sera, Lombardia
"Play Panta Rei, una raccolta di idee filosofiche con esempi da giocare."
Melamorsicata.it
"Attraverso vari mini-giochi, semplici e al tempo stesso accattivanti, potremo imparare alcune tra le più originali ed importanti idee filosofiche esistenti."
iSpazio
"PlayPantaRei è una interessantissima applicazione per iPhone."
Macity
"Play Panta Rei come strumento d'insegnamento va straordinariamente a segno."
Babel Magazine
"Panta Rei è un buon esempio di come un videogioco può servire come un linguaggio stenografico per capire meglio la filosofia."
Patrick J. Coppock, Università di Modena e Reggio Emilia
Eventi
Lezioni presso l’Università di Modena e Reggio Emilia (corso Social and Ludic Media, con il prof. Patrick J. Coppock)
Play Festival, Modena Fiere
Svilupparty, Bologna, Archivio Videoludico
Game Camp, Centro Culturale Candiani, Venezia
Fashion Camp, Milano, Spazio A, Via Tortona 54
Far Game, Cineteca di Bologna – Panel “Filosofia nel gioco”

Manifesto Play Panta Rei
1. Una frattura nel sapere
Solo l’1% della popolazione mondiale conosce e comprende davvero le principali idee umaniste. Considerando che il sapere umanista rappresenta metà del sapere umano, ci troviamo di fronte a un fallimento sistemico nella trasmissione di questi contenuti.
Il sapere umanista viene presentato in forma teorica e astratta, ma per essere utilizzabile richiede esperienza diretta. Senza applicazione, i concetti si scollegano dalla vita e diventano inaccessibili. E ciò che non appare utile viene, inevitabilmente, scartato.
Chi si occupa di formazione umanistica ha oggi la responsabilità di riconoscere questa realtà. Il risultato? Di fatto, metà del sapere umano è stata azzerata.
2. Un sapere senza tecnologia
Per quasi 3000 anni, il pensiero umanista ha affrontato le domande fondamentali dell’esistenza.
Ma mentre la matematica diventava GPS, la fisica diventava internet, e l’ingegneria produceva satelliti e cellulari, queste idee restavano confinate nei libri. Spiegate, ma non vissute. Studiate, ma non agite.
Concetti complessi come i teoremi di Fourier o di Nyquist sono oggi nascosti dentro strumenti quotidiani. La teoria scientifica è diventata invisibile perché è stata incorporata nella tecnologia. È così che funziona un sapere operativo.
Il sapere umanista, invece, è rimasto senza tecnologia. Nessun ambiente ne permette l’uso diretto, la sperimentazione o l’applicazione pratica.
3. Un sapere senza tecnologia
Il modello educativo dominante si basa ancora sull’astrazione, sulla spiegazione teorica, sull’assenza di esperienza.
Senza strumenti operativi, il pensiero umanista non diventa competenza. Senza esperienza diretta, non si radica nella vita né nella mente.
Intanto, mentre le tecnologie potenziano ogni giorno la nostra capacità di calcolo, il nostro orientamento critico resta immobile.
E con esso, la capacità di dare senso, di discernere, di comprendere ciò che accade, di muoverci nel mondo utilizzando tutte le idee degli ultimi 3000 anni.
4. L’urgenza di un nuovo approccio
Per superare questa frattura non basta aggiornare il linguaggio. Serve una nuova modalità di accesso al sapere.
Oggi manca una struttura concreta che attivi il pensiero umanista come funzione. Un metodo che non parta dalla trasmissione di concetti, ma dalla loro esperienza vissuta: breve, concreta, mirata.
Un sapere è realmente compreso solo quando si manifesta nel nostro modo di percepire, scegliere, giudicare, agire.
5. Il principio: rendere attivo il pensiero
Le scienze sono diventate accessibili grazie alla tecnologia. Non leggiamo equazioni: usiamo dispositivi che le contengono e ci permettono di agire.
Perché non possiamo fare lo stesso con il sapere umanista?
L’idea è questa: trasformare anche il pensiero umanista in esperienza fruibile. Progettare ambienti che permettano di attivarlo direttamente.
Non si tratta di spiegare meglio, ma di agire in modo diverso. Le idee non si trasmettono: si rendono visibili, esperibili, navigabili.
Come ogni sapere, anche quello umanista può diventare tecnologia. Ma serve un atto di progettazione consapevole.
6. La prima tecnologia umanista
È da questa visione che nasce Play Panta Rei: non come piattaforma, ma come ambito di ricerca applicata. Un ambiente progettato per dare forma al primo esperimento concreto di tecnologia umanista.
Ogni modulo è pensato per attivare, in modo diretto, una funzione del pensiero: intuito, dubbio, consapevolezza, libertà, giudizio, sospensione, relazione con il nulla.
Ogni esperienza è calibrata. È costruita per innescare un processo interno, anche in pochi secondi. È ingegneria umanista: progettazione cognitiva al servizio della mente.
Non si offrono contenuti: si innescano processi. Non si trasmettono nozioni: si aprono esperienze. Non si segue un programma: si costruisce una possibilità.
7. Ingegneria umanista
Play Panta Rei non è un prodotto. È un sistema aperto, in continua evoluzione.
Ogni elemento è un prototipo cognitivo: strumenti leggeri, accessibili, che aprono domande profonde.
Il progetto si sviluppa come una sequenza breve e intensa di attivazioni, ognuna delle quali mette in moto un’idea fondamentale del pensiero umanista.
La forza non sta nella quantità, ma nella qualità dell’innesco. La logica è esplorativa. Lo scopo non è insegnare: è muovere.
8. Una tecnologia pulsante
Play Panta Rei è, a tutti gli effetti, una tecnologia umanista vivente, che cresce nel confronto con chi la utilizza.
Non replica formule: le riscrive. Non segue percorsi già tracciati: li apre. Come ogni tecnologia autenticamente nuova, non ha ancora standard, né confini definiti.
Ma il suo scopo è chiaro: rendere il pensiero umanista operativo, accessibile, potenziabile.
È un primo passo verso ciò che ancora manca: una cultura capace di integrare sapere e vita, mente e forma, pensiero e azione. Restituendo al pensiero umanista non solo la sua dignità teorica, ma la sua potenza trasformativa.
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